sabato 3 marzo 2012

Elementi di Storia della musica

Cenni sulla musica Afroamericana (introduzione)

L’Afroamericana nasce come musica degli africani deportati come schiavi nel continente americano e dei loro discendenti. Le prime manifestazioni della musica afroamericana, infatti, (i canti di lavoro (work songs), i richiami, gli hollers (grida di campo e di strada), i canti in rima, gli spirituals), oltre a rappresentare un sollievo psicologico alla situazione degradante della schiavitù e una forma di preghiera, offrivano agli schiavi anche un mezzo per scandire i gesti del lavoro e un modo per comunicare tra loro senza farsi intendere dai padroni bianchi. I canti di lavoro avevano perlopiù la tipica forma africana a chiamata e risposta: una voce solista intonava la melodia e gli altri si univano in coro nel ritornello. Lo spiritual, genere popolare religioso della tradizione musicale americana che si sviluppò parallelamente al movimento evangelico dell'inizio dell'Ottocento (i primi riferimenti a spirituals cantati dagli schiavi neri risalgono al periodo compreso tra il 1825 e il 1850), come il gospel, il blues, il jazz e il soul, si rifà appunto alla pratica della chiamata e risposta tipica della musica africana e cioè, quindi, all'alternarsi di solo e coro. Alla fine dell'Ottocento gli spirituals, sia bianchi sia neri, furono in gran parte soppiantati dai gospels.

L’articolazione e la dizione

Il termine articolazione si riferisce alla produzione di suoni per formare le parole di un linguaggio. Tra le strutture necessarie all'articolazione dei suoni vi sono le labbra, la lingua, i denti e il palato. La parola è articolata interrompendo o dando una forma alla corrente d'aria, vocalizzata o non vocalizzata, con il movimento della lingua. I denti sono usati per produrre alcuni suoni specifici.

Nel canto, per articolazione si intende la giusta apertura delle vocali quando esse si pronunciano. E' importantissimo specificare per bene il suono di ogni vocale. Più la nota è acuta e più bisogna dare spazio alla voce, occorre quindi aprire maggiormente le vocali e assumere un'espressione del viso sorridente. L'articolazione del viso è molto importante anche nel parlato.

Cenni sulla dizione (prima parte)

Un’attenzione particolare deve essere prestata, nel canto, alla cura della dizione. L’incisività, la chiarezza e l’articolazione eviteranno di ostacolare la comprensione delle parole e nello stesso tempo faciliteranno l’emissione e l’intonazione. Quindi è inutile dire che per cantare bene bisogna avere una buona dizione!

Nella lingua italiana le vocali vanno distinte fra:

• Vocali alfabetiche (che sono cinque):
a – e – i – o – u ;
• Vocali fonetiche (che sono sette):
a – è (aperta) – é (chiusa) – i – ò (aperta) - ó (chiusa) – u.

Altra distinzione necessaria per pronunciare correttamente le parole italiane è quella tra accento tonico e accento fonico: l’accento tonico è la forza che viene data ad una sillaba in particolare tra quelle che compongono la parola (Es.: tàvolo, perché, tastièra); l’accento fonico indica la distinzioni tra suoni aperti e chiusi per le vocali e ed o.

Per indicare quali vocali vanno pronunciate aperte e quali chiuse, inoltre, si usano due tipi di accento fonico:

Accento grave
ò è per indicare le vocali da pronunciare aperte (Es.: pòdio, sèdia);

Accento acuto
ó é per indicare le vocali da pronunciare chiuse (Es.: bórsa, perché).

La “è” aperta
Ecco alcuni casi in cui la lettera “e” ha un suono aperto:
1.Nel dittongo "-ie-" - Esempi: bandièra, ièri, cavalière, lièto, diètro…;
2.Quand'è seguita da vocale - Esempi: colèi, costèi, fèudo, idèa, lèi…;
3.Quand'è seguita da una consonante dopo la quale vengono due vocali -Esempi: assèdio, gènio, egrègio, prèmio…;
4.Nelle terminazioni in "-ello", "-ella" - Esempi: pagèlla, mastèllo, èllo, sorèlla, fratèllo, fardèllo, spinèllo, porcèllo, padèlla, caramèlla, lavèllo, manovèlla… spesso usate anche come suffissi di diminutivi e/o vezzeggiativi come asinèllo, torèllo, praticèllo, bricconcèlla, cattivèlla, orticèllo…

La “é” chiusa
Ecco alcuni casi in cui la lettera “e” ha un suono chiuso:
1. Nei monosillabi atoni - Esempi: é (congiunzione), mé, né, té, sé, ré (monarca), vé, pér…;
2. Nei vocaboli tronchi in "-ché" - Esempi: perché, giacché, anziché, poiché, fuorché, sicché, macché…;
3. Nei pronomi personali - Esempi: égli, élla, ésso, éssa, éssi, ésse…;
4. Nelle preposizioni articolate - Esempi: dél, délla, déllo, dégli, délle, déi, nél, néllo, nélla, négli, nélle, néi, péi…

La “ò” aperta
Ecco alcuni casi in cui la lettera “o” ha un suono aperto:
1. Nel dittongo "-uo" - Esempi: tuòno, scuòla, uòmo, suòi, tuòi, buòi, vuòi, suòcera, nuòra, suòra, cuòre…;
2. Nei vocaboli tronchi terminanti in "-o" comprese le forme verbali del futuro e del passato remoto - Esempi: però, falò, andrò, arrivò, cercò, sognò, pedalò, ritirò, acquistò…;
3. Nelle terminazioni in "-orio", "-oria" – Esempi: stòria, glòria, dormitòrio, conservatorio…;
4. Nelle terminazioni in "-odo", "-oda", "-ode" – Esempi: bròdo, chiòdo, sòda, mòda, pagòda, chiòdo, lòdo, òdo, fròdo, fròde…

La “ó” chiusa
Ecco alcuni casi in cui la lettera “o” ha un suono chiuso:
1. Nei monosillabi che terminano con consonante – Esempi: cón, nón, cól…;
2. Nelle terminazioni in "-oce" – Esempi: cróce, feróce, atróce, fóce, nóce…;
3. Nelle terminazioni in "-ogno", "-ogna" – Esempi: bisógno, carógna, sógno, cicógna, zampógna, rampógna…;
4. Nelle terminazioni in "-one" – Esempi: missióne, ottóne, nasóne, calzóne, coccolóne, briccóne, mascalzóne, pantalóne, giaccóne, veglióne, torrióne, bastióne…

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